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Niente ha di spavento la voce che

chiama me, proprio me,

dalla strada sotto casa,

in un’ora di notte:

è un breve risveglio di vento,

una pioggia fuggiasca.

Nel dire il mio nome

non enumera i miei torti,

non mi rinfaccia il passato.

Con dolcezza (Vittoria, Vittoria)

mi disarma, arma contro me stesso me.

(Vittorio Sereni)

 

Niente più rose. Di nuovo muri di spine.

Solo scarpe appese al chiodo e tante illusioni destinate a raccattare nuove delusioni ma, sempre in agguato, un testimone: l’odore selvatico della vita che pur pungeva forte le narici.

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Per eliminare il meditabondo grigiore che intorpidiva la lanterna del cervello decisi così di raccogliere le meravigliose sfumature di ciò che avevo attorno, di coltivare l’inquieta mia esistenza e, con impegno, ricominciare a dialogare con quel piccolo pupazzetto, indifferente e indifeso, nascosto nel petto
Una sera, nella contenuta violenza d’un bussare alla porta, la sua voce, all’improvviso, arrivò all’orecchio come un colpo di frusta bagnata che sferza il viso.
 

 

Gli eroi tornano sempre sulla scena

con i loro sogni e le loro conquiste.

 

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Lo stillicidio dei secondi si fermò sul trotto del cuore

e nel cervello un fulmine si trasformò in sibilo irripetibile.

Un coro di balbettii sulle labbra, e dalla gola affiorò una sillaba quanto mai sorpresa.

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