Bevi e godi: che sarà domani,

che in avvenire nessuno sa.

Non correre, non affannarti:

come puoi dona, largisci, mangia,

ricorda d’essere mortale;

il vivere non differisce

per nulla dal non vivere.

Tutta la vita è questo, un momento:

se tu lo precedi, è tuo;

ma se muori è di un altro e nulla ti resta.

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Mi preparai per l’intervista e, come fossi ombra che si guadagna la luce, l’eccitazione moltiplicava vertigini e fantasie, mentre la parte fredda e razionale del cervello non notava quanto fosse primitivo, da parte mia, provare una simile tensione.

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Si può facilmente scivolare tra piacevoli angosce e non capire che sono le alzate di testa a provocare quella sofferenza inevitabile che si chiama attesa.

Così, compiaciuta dentro una risata, disperata dentro un tumulto, con le dita incrociate (mani e piedi per sicurezza), vacillante lo raggiunsi.

 

 

 

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Nell’ambiguità dell’aria il vento intaglia la polvere e

tra i lievi bisbigli cosa nasconde dentro la sua anima?

 

Nell’ampiezza d’uno stretto e caldo spazio indugiai un attimo nel fissarlo tra il fermento di conversazioni fatte da tante voci. Qualche sforzo per captare il senso delle discussioni mentre cercavo qualcosa nelle tasche, una penna forse per scrivere.

— Vuoi un autografo? chiese sorridendomi.

— No… Un’intervista per il mio giornale...! — risposi.

— Hai fretta? — domandò.

— No — risposi fredda e più sfavillante d’una bolla di sapone.

Osservandolo senza battere ciglio, di fronte alla sua sfrontatezza, mi liberai dal peso dell’impatto e stesi le labbra in una smorfia. La sua fronte s’abbassò di colpo, cercando di guardare il quadrante dell’orologio. Un lampo improvviso attraversò, di certo, la sua testa.

— Che ne diresti d’iniziare la nostra conversazione davanti a qualcosa da mangiare? — Chiese.

— Sì, — risposi.

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