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Non permettere mai che una lacrima intristisca il calmo e placido animo dove affondo il cuore quando tuffo lo sguardo nei tuoi occhi

 

"... I tuoi difetti sono tanti che nemmeno tu li sai..."
Così cantava Mina.

 

 

Eppure l'ho sopportato!
Confesso che l'ho sopportato per tutti questi anni.

Ho sopportato i suoi dispetti feroci.

I miei fogli strapazzati, il disordine che mi creava in casa.

Le tende che strappava per dispetto.
Ho sopportato TUTTI i suoi graffi sulle mie braccia.

I suoi morsi non appena sentiva che parlavo al telefono con qualcuno.

Ho sopportato le sue gelosie, i suoi silenzi, il suo volermi ignorare per tutto il giorno ma la notte... (quasi tutte! Diciamo la maggior parte delle notti che dormo a casa, oppure quando non è offeso "a morte" con me), «più lo spingo giù e più si tira su» (pardon questa è una vecchia pubblicità di Manfredi).

Dicevo – la notte – più lo butto fuori dal letto e più mi torna con insistenza. Alla fine sono costretta a cedere, a sottostare alla sua volontà di possesso... sono mica una terra di conquista?
Mi domando se per caso non può farne a meno di starmi lontano.
Mi ama? Boh!
Sono diventata un'abitudine o un bisogno? Boh!!
Sta di fatto che appena rischio a mettermi in posizione "orizzontale" mi si piazza lì, vicino al mio orecchio, e comincia ad avvicinarsi piano.

 

Faccio finta di dormire, il mio respiro è regolare.
Aspetto... che da un momento all'altro arriva.
Aspetto.... e quando s'avvicina ecco: ancora una volta gli faccio fare un bel salto.

Pussa via dal mio letto, vai a dormire nel tuo!
"E invece No... invece No, la vita è quella che tu dai a me..."
(E daje che ritorna Mina).

Mi si piazza beato sul bel mezzo della bocca dello stomaco e comincia a fare le fusa come un macinacaffè che gira ad alta velocità.
Signori: questo è il mio gatto.

A pensarci bene il mio gatto non ha un nome.

Non ho mai avuto tempo di darglielo, anche perché – se non è ora della somministrazione dei croccantini – ho voglia di chiamarlo non viene mai...
Ma non è del mio gatto che voglio parlare.

 

Parlar d'amore m'ha sempre affascinato. 
Per me parlare d’amore è come per uno strizzacervelli spiegare ai matti il senso della vita: forse quest’ultima frase è ciò che mi accomuna al senso “dell’amore”.
«Amare non è forse quel verbo sottile che…»   (ooooh... ddio! Ecco che la poesia, come sempre, è pronta a sgorgare, ...pussa via!) Dicevo amare - per me - è quel voler dividere le mie emozioni fin dal momento che nasce e poi trasmetterla con quanti più sensi mi è possibile coinvolgere.
Dicono che il primo amore non si scorda mai e vorrei aggiungere che: “l’ultimo è sempre il migliore” e ...non avendo più una buona memoria è difficile ricordare tutte le persone che ho amato.

In fondo ho amato tutto con egual intesità.

«L'amore... è quella ruota che fa girare il mondo...» mi rispose, durante un'intervista Renato Balestri sgranando i suoi occhioni azzurri, e spesso e volentieri ci dimentichiamo che quando la vita la si prende troppo seriamente si finisce con l'invecchiare senza accorgersi d’aver vissuto.

Per questo ho impiegato una quantità di energie per far capire agli altri di non aver paura di amare... È l'amore che permette di guardare la vita attraverso un sorriso. Quello giusto, quello capace di accendere il cuore.

Voglio anche a voi dirvi che qualcuno un giorno mi disse: «nella vita stessa c'è la risposta a tutto».

Fu così che mi ritrovi ad intraprendere il viaggio  lungo il tragitto che mi avrebbe portato a conoscere "la mia". Pensavo all'amore come un'emanazione di Dio e non la causa di malesseri che ogni volta mi si sono  rivoltati addosso come un boomerang.... 

Ho sempre cercato di donare quell'amore di cui, forse, non sono stata capace di dare, e non credo che abbia mai provato di trasformare il mio amore in egoismo, in prevaricazione o abuso.

 

Ho solo attraversato dapprima stradine solitarie, strade aperte, aride stradine... piccole, mediocri e soffocanti, finché una mattina mi accorsi che l'unica strada che dovevo percorrere era quella del cuore.

Mi ritrovai così ad intraprendere un tragitto che non mostrava confini ma semplicemente "cantucci" dove sedersi in silenzio ad ascoltare il mio battito...

È da quel giorno che percorro tanta strada per cercare due occhi e due labbra che mi sorridano e mi amano senza chiedermi nulla, così come nulla chiederò agli occhi suoi, che nell'assenza mi sognano.

 

LETTERA AL MIO PRIMO AMORE (che avrei voluto spedire... e non l'ho fatto)

© copyright Akkuaria 2003